Yuliya vive a Napoli da 8 anni: ci è arrivata partendo da Kiev, fermandosi 2 anni in Grecia, trasferendosi poi a Roma, per giungere nella città partenopea e restarci. La sua è una storia diversa, e ce la facciamo raccontare da lei direttamente
Yuliya, perché ti definisci un “migrante avvantaggiata”?
Perché ho scelto di vivere in Italia per amore, non per necessità. Laureata in giurisprudenza, mi sono trasferita in Grecia per lavorare ad un progetto di cooperazione internazionale, dove ho conosciuto il mio compagno italiano. Dopo 2 anni trascorsi lì, abbiamo deciso di vivere in Italia, a Roma per la precisione. Lì ho iniziato a studiare seriamente l’italiano (che infatti parla perfettamente, ndr), frequentando 3 scuole contemporaneamente. Erano corsi finanziati per cittadini migranti: ho avuto così modo di approcciarmi, direi per la prima volta, a questa realtà. Ricordo un compagno di corso che insieme all’italiano, ha imparato a scrivere: era giunto in Italia analfabeta. Ero rimasta sconvolta perché credo che l’educazione sia un diritto di tutti.
Come mai hai deciso di raccontare Napoli diventando guida e accompagnatrice turistica?
Ho iniziato a lavorare per la Cooperativa Casba come accompagnatrice interculturale nell’ambito del progetto Migrantour. Raccontare Napoli vista dagli occhi di uno straniero che vi si è integrato. Raccontarla ai napoletani stessi, perché spesso non la conoscono sotto questo punto di vista. Mi sono appassionata a questo mestiere, e ho deciso con il mio patentino di lavorare anche per i turisti italiani che vogliono conoscere Napoli.
Studio continuamente la città, nel tempo libero la visito e mi documento. Mi piace presentare una città non stereotipata attraverso le sue icone classiche. Con Viaggi Solidali abbiamo scelto di vedere Napoli dall’alto delle sue colline, di visitare Pozzuoli antica e bellissima, ma non molto conosciuta. Piccole e grandi chicche da non perdere.
La multiculturalità e l’integrazione a Napoli dal tuo punto di vista
Devo innanzi tutto dire che la grande comunità ucraina in città (più di 8.000 persone ufficiali, in gran parte donne) non mi vede molto partecipe. Forse per una questione anagrafica (io sono relativamente giovane rispetto a loro), forse per la scelta che ci ha spinte a vivere qui (molte donne ucraine vengono in Italia per lavorare come badanti), ed infine per la provenienza geografica (la maggior parte di loro viene dall’ovest, io da Kiev), mi sento diversa. Aggiungo che le donne ucraine della mia età (molto spesso laureate, come me) hanno cercato lavori più qualificati trasferendosi a Roma o Milano.
La comunità cingalese, forse la più numerosa in città (15.000 persone), vive in circa 4 chilometri quadrati tra il centro storico e la zona collinare – abbastanza distanti dal quartiere multiculturale, quello della Stazione Centrale. E’ una comunità molto unita, che spesso vive nei “bassi”, case al pianterreno che si affacciano sulla strada, di palazzi antichi abitati nei piani alti da persone molto più abbienti. Tra gli abitanti dei “bassi”, napoletani da generazioni e napoletani d’adozione, c’è integrazione, c’è solidarietà. Ci si dà reciprocamente del tu, ci si aiuta.
Invece nella Napoli collinare i migranti vanno a lavorare come collaboratori domestici, badanti, a servizio di qualcuno: qui il rapporto è “tu-lei”: il “tu” paternalisticamente dato dal datore di lavoro al collaboratore che invece dà del “lei”.
Napoli ti è entrata nel cuore? Cosa ti fa sognare di questa città, qual è la magia che vuoi trasmettere a chi la racconti?
Quello che colpisce di Napoli è la sua luce
La luce e la capacità di questa città di assorbirne quantità tale da farti precipitare nel più lugubre dei quadri di Caravaggio anche alle 12 nel giorno del solstizio d’estate.
L’antica Neapolis fu progettata dai greci, migranti anche loro, con l’unico scopo di divorare la luce. Quindi, ce n’è sempre e per tutti, ogni casa ne può beneficiare, spesso, però, solo per un attimo. Perciò, questa luce è sempre accompagnata dalle ombre e dal buio nella città dei contrasti per eccellenza. Pensaci, c’è il famoso panorama arioso e mozzafiato, ma ci sono anche quei vicoletti stretti, lunghi o attorcigliati del ventre di Napoli pregno di storie umane. C’è il mare, la porta spalancata verso il multiculturale mondo mediterraneo, ma ci sono i cupi sotteranei dove ancora riecheggiano gli orrori dei bombardamenti dell’ultimo conflitto mondiale.
C’è una straordinaria devozione e le Madonne che accompagnano con uno sguardo i passanti da migliaia di edicole votive; però, in cerca di fortuna, non si può rinunciare a sfiorare un cornicello o adottare un teschio di qualche anima purgante.
C’è l’odore del tradizionale ragù di domenica, lasciato “pippiare” per ore, orgoglio di ogni suocera napoletana, ma c’è pure un profumo dolciastro, esotico, poco familiare di curry che si confonde con quello di ragù e dei panni freschi stesi al sole….
Ecco… certo che non è facile capire e accettare Napoli per quello che è. Tutti questi contrasti confondono, creano pregiudizi, li confermano e li smontano. Quando racconto la città, non cerco di farla amare per forza. Però mi sento appagata quando gli ospiti dicono: “Sai, anche nella nostra città abbiamo…” perché so che hanno trovato qualcosa in comune, che Napoli è diventata per loro un termine di paragone, nel bene o nel male.
Ora Napoli per loro è una città più familiare, più vicina, più ‘loro’….
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