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Mali, ribellione tuareg: in fuga 50mila persone


Mali Da qualche settimana in Mali è riesploso il conflitto armato tra un gruppo di ribelli tuareg e l’esercito maliano per il controllo del nord del paese. Dalla capitale Bamako Fabio Ricci, cooperante dell’ong CISV, ci racconta perchè i ribelli chiedono l’indipendenza del Nord, chi li sostiene e quali sono le conseguenze per tutta la regione del Sahel.

di Donata Columbro

“Il movimento indipendentista del nord del Mali si manifesta a fasi alterne: attacchi armati, negoziazioni, piccole concessioni del governo, periodo di calma e poi di nuovo un periodo di attacchi. Non è la prima volta che si parla di conflitto.” Inizia così la testimonianza di Fabio Ricci, cooperante dell’ong CISV a Bamako, che in Mali cura progetti di sostegno agli allevatori nella cura e nella gestione degli animali, fonte di sostentamento e di reddito in un contesto ambientale semidesertico.

Fabio Ricci racconta di una situazione che vede coinvolti gli interessi di diversi paesi per il controllo di una zona strategica sotto molti punti di vista: “il nord del Mali è un territorio che fa gola a molti. Lo stato non è mai riuscito a prendere il controllo del territorio, e dunque quella regione è diventata uno spazio conteso tra movimenti indpendentisti, cellule di AlQaeda, Francia e paesi confinanti”.

Gli interessi in gioco riguardano principalmente due elementi, spiega Ricci: “Il controllo di questa regione è molto fruttuoso a livello economico. Prima di tutto, è noto da diverso tempo che dal deserto del nord del Mali transitano i traffici di droga che arriva dall’America Latina e riparte per essere distribuita in Europa. Poi è la zona è ricca di uranio e ultimamente è stato scoperto anche un giacimento di petrolio.”

Il movimento di indipendenza della regione Azawad, così si chiama il territorio conteso, aveva diffuso già nel novembre del 2011 il suo manifesto operativo per rivendicare l’autonomia della regione: sul sito internet

http://www.mnlamov.net/ e attraverso un video di YouTube il popolo azawadiano affermava la volontà di lottare per l’indipendenza condannando “ogni forma di violenza”.

Cosa è cambiato da novembre e perchè questa escalation di violenze che solo nella base militare di Aguelhok tra il 18 e il 24 gennaio hanno portato all’uccisione di 100 persone, soprattutto militari ma anche civili?

I tuareg armati, autori di quelle che sono state definite “esecuzioni” esemplari ad Aguelhok sono “sono ex soldati dell’esercito di Gheddafi. Ora che la guerra in Libia è finita sono tornati più armati di prima, più armati dell’esercito maliano ed è riesploso il conflitto”. Il Movimento per l’indipendenza della regione Azawad si è dissociato dalle esecuzioni avvenute nella cittadina a 80 chilometri a sud di Tessalit, con un comunicato pubblicato questa mattina sul suo sito internet:

Les exactions sommaires décrites à Aguelhoc ne font partie ni du code d’honneur ni de l’art de la guerre des azawadiens. […]

La branche armée du MNLA est composée d’authentiques azawadiens. La majorité de ses combattants ne vient pas de la Libye comme certains veulent le faire croire, mais bel et bien de l’armée malienne et des précédentes révoltes de l’Azawad de 2006 et de 2008.

AQMI e la Françafrique Inoltre, secondo il movimento, l’associazione della ribellzione tuareg alle azioni di Aqmi, la “filiale” di Al Qaeda del Maghreb islamico, ha come unico scopo “quello di nascondere la sua incapacità militare di affrontare l’Aqmi sul territorio nazionale”

“Il nord del paese è stato per lungo tempo un territorio di nessuno e Al Qaeda ha potuto trovare un posto in cui installare una sua cellula. Il deserto maliano è la base di tutti i rapimenti che Aqmi ha realizzato nei paesi confinanti: se tra il 2009 e il 2011 il nord del Mali è stato nelle mani di Aqmi, ora la guerra in Libia ha portato nuovi interess da parte di gruppi di ribelli armati”.

Oltre al fattore strategico per il controllo del territorio n’è uno di matrice etnica, secondo Fabio Ricci: “I tuareg non vogliono farsi dominare “dai neri” e di conseguenza lo stato non è mai riuscito a installarsi in questo territorio, che dista 800-900km dalla capitale”.

“Il governo in questa fase potrebbe avere l’appoggio francese, è questa la voce che circola a Bamako: sia perché alla Francia interessa mettere le mani sull’uranio, sia per sconfiggere Aqmi”. A conferma di questo legame tra i due paesi ci sarebbe una visita effettuata dal ministro della cooperazione Henri de Raincourt: “per ora ha dichiarato sostegno della Francia, ma non ci sono stati appoggi reali occidentali dal punto di vista militare”, conferma Ricci. “Quello che noi sappiamo per certo è il forte squilibrio tra i tuareg, molto ben armati e più forti dell’esercito. Se anche l’esercito dovesse “vincere”, non è ben chiaro quale sarebbe l’oggetto della vittoria, il territorio è troppo vasto.”

Le conseguenze sulla regione

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La conseguenza più evidente del conflitto è la fuga di profughi verso i paesi confinanti. Secondo l’UNCHR, che è già al lavoro con i governi del Niger, del Burkina Faso e della Mauritania per trasferire i rifugiati in zone più sicure lontano dalle regioni di confine, sono almeno 50mila le persone già fuggite dal paese.

“In capitale la guerra non è percepita direttamente, ma a partire da un paio di settimane è cominciata una sorta di “caccia al tuareg, anche in altre città nel sud del paese”, riferisce Fabio Ricci. “Sono stati bruciati negozi e attività, le famiglie “dalla tinta chiara” [tamasheks, arabi, mauritani e tuareg, nda] sono state costrette a scappare. Posso testimoniare di aver incontrato in aereo, in un viaggio verso la capitale del Niger Niamay, molte famiglie ricche di Bamako in fuga. Anche il Ministro dell’Agricoltura, che ha origini tuareg, ha mandato via le donne e i bambini della sua famiglia”.

Il Presidente ha cercato di calmare gli animi con una serie di discorsi in tv ma il clima rimane teso. Ricci menziona anche una manifestazione partita da una città vicino alla capitale, Katì, dove si trova una base militare: “un corteo di donne, mogli di soldati, ha marciato verso il palazzo del governo per chiedere al presidente Amadou Toumani Touré di fornire armi ai loro mariti, “per non farsi ammazzare come conigli”.

Oltre alla crisi politica, la crisi alimentare già in corso nella regione potrebbe portare ulteriore scompiglio: “Fino ad oggi il Sahel è stata un’area abbastanza tranquilla, ma dalle conseguenze della guerra in Libia all’imminente carestia, sono molti i fattori che la stanno trasformando una regione da tenere d’occhio in futuro”, conclude Ricci.

[foto: Stinger/AFP]

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