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Immagine del redattoreStaff Viaggi Solidali

Incontri Siberiani 3° puntata


di Giuliano Prandini

Camminiamo lungo il Great Baikal Trail, il sentiero che percorre la costa del lago. In dieci anni volontari da diversi paesi hanno costruito più di trecento chilometri con lo scopo di sviluppare l’ecoturismo come alternativa allo sviluppo industriale. Incontriamo Svetlana, la coordinatrice buriata dei programmi estivi: “Quest’anno sono stati finora trecento i volontari da Argentina, Sud Africa, Cina, Brasile, Russia, divisi in squadre da 10 a 18 componenti. Durante l’inverno organizziamo corsi di educazione ambientale per i bambini. In Russia i rifiuti non vengono riciclati, il cinque per cento del paese è coperto da discariche; gli abitanti dei villaggi gettano le immondizie nel lago, puntiamo sui bambini perchè educhino loro i genitori.” Le facciamo gli auguri per l’imminente matrimonio nel villaggio natale vicino al confine mongolo, i genitori non vogliono sfigurare con i vicini, la festa per i 465 ospiti durerà due giorni!

Prendiamo l’aliscafo per l’isola di Olkhon, l’isola sacra agli sciamani. Sulla riva del desolato porticciolo con barche in rovina, depositi di carbone e due buriati già ubriachi di primo mattino, un uomo seminudo canta e suona il tamburo, viene fatto salire, scopriremo che è un “pellerossa” ucraino diretto alla penisola della Kamchatka; durante una sosta si tuffa nel lago, ricorda Kevin Kostner in Waterworld. Con lui Igor, che dopo aver lavorato come biologo nel mar Nero e nel mar Glaciale Artico, diventa musicista, pittore, scrittore. Si definisce, come il suo amico, un uomo libero, e mi regala un libro di sue poesie.

L’arrivo all’isola, dopo sette ore di navigazione, ci ammutolisce, spiaggiamo in mezzo a bagnanti che nuotano o prendono il sole, passeggeri che aspettano di salire, altri che sono già faticosamente in marcia con zaini e valige. Visiteremo il Picco dello Sciamano, uno dei dieci siti sacri dell’Asia, con una bellissima vista sul lago e sull’isola e poi il villaggio, questo poco interessante, quasi un polveroso villaggio del west con tanti chioschi di souvenir.

Concludo il viaggio a Mosca con il museo del Gulag,  in Ulitza Petrovka,


nei pressi della Piazza Rossa. All’ingresso incontro Anton Antonov – Ovseenko, cammina con fatica e per salire nell’auto deve essere aiutato. Nonostante i novantadue anni è ancora una figura pubblica attiva, è il responsabile della “Associazione Regionale delle Vittime delle Repressioni Politiche”, presiede il museo, ha scritto numerosi libri, il Tempo di Stalin. Ritratto di una Tirannia tradotto in diverse lingue, la biografia di Beria. Anton Antonov – Ovseenko fu arrestao nel 1940 e condannato a tredici anni da scontare in prigioni e nei campi di Tjumen’ e Vorkuta.

Suo padre, Vladimir Aleksandrovich,  dal 1901 rivoluzionario di professione, condannato a morte nel 1907, fu uno dei creatori dell’esercito russo durante la guerra civile (1918 – 1922), diplomatico, scrittore. Nel 1937 venne arrestato e fucilato l’anno seguente. La madre, arrestata nel 1929, si suicidò sette anni dopo.

Nelle sale numerosi quadri: la perquisizione domiciliare, l’interrogatorio, il trasporto nel furgone con la scritta hlieb  (pane), l’arrivo al campo, la ricostruzione delle celle con i tavolacci, le fotografie degli zek (detenuti), le fotografie ritoccate.  Una famosa icona sovietica mostra Stalin, l’Amico dei Bambini che, sorridente al Cremlino nel 1936,  ha appena ricevuto un mazzo di fiori da Gelya Markizova, una bambina di sei anni; a destra M.I. Erbanov, presidente del comitato centrale della Buriazia. Quando quest’ultimo cadde in disgrazia, la sua immagine fu tolta dalla fotografia. L’icona fu comunque fatta sfilare per le strade di Leningrado nel 1937, per il ventesimo anniversario della Rivoluzione d’Ottobre.

Rientrati in Italia continuiamo il viaggio, andiamo a Maniago per la rappresentazione di una favola buriata con il teatro stabile di Irkutsk,  rileggiamo La Conchiglia di Anataj di Sgorlon, visitiamo a Pordenone la mostra sul lavoro dei  friulani per costruire la Transiberiana.

Giuliano Prandini

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