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Incontri siberiani – 2° puntata –


Lasciamo Ulan Ude, la capitale della Buriazia e, dopo aver percorso strade sconnesse e fangose, raggiungiamo il villaggio di Ust Bargusin, sul lago Baikal. Non è un lago, è un mare, lungo 650 km, largo fino a 80 km, con una profondità massima di 1.650 m; le sue acque dolci potrebbero ricoprire tutto il pianeta per un’altezza di 20 cm, tutti i fiumi del mondo non lo riempirebbero in un anno. Lo alimentano trecento immissari e il solo emissario è l’Angara; durante l’inverno la superficie ghiacciata supera il metro e facilita l’attraversamento di camion e automobili da una costa all’altra.

Tra le specie animali una delle più caratteristiche è la nerpa del Baikal,  unico caso di foca d’acqua dolce, se ne contano a decine di migliaia.



Troviamo alloggio presso una famiglia del luogo; la casa è in legno con la banja, la tipica sauna russa, e fuori la latrina. L’ambiente è confortevole e anche qui non patiremo la fame: borsh (minestra di barbabietole e carne), busi (grandi ravioli), omul (il tipico pesce del lago Baikal), verdure di tutti i tipi, frutti di bosco, dolci. Davanti alle case sono accatastate enormi quantità di legna, l’inverno dura nove mesi e la temperatura può scendere a meno 45 gradi.

Quando, dopo alcuni giorni lasceremo la casa, rimaniamo interdetti; la padrona si siede accanto a noi in silenzio  per alcuni minuti; ci domandiamo in che cosa abbiamo mancato. E’ il loro modo tradizionale di accomiatarsi e conoscenti russi continuano a praticarlo anche qui a Trieste.

Ci dirigiamo verso l’amplissima valle del fiume Bargusin, separata dal lago da una catena di monti alti oltre 2.500 m; qui vivevano gli Unni prima di emigrare in Europa. E’ la parte del viaggio dedicata al trekking nella steppa più settentrionale dell’Asia, in un paesaggio bellissimo dalle distese immense, con poche abitazioni. Ci guida Julia, da poco laureatasi, vorrebbe lavorare con il WWF a Vladivostok.


Dormiamo in tenda, un ruscello con acque limpide scorre vicino, ci cauteliamo contro le zecche, ma non possiamo evitare le nuvole di zanzare, un continuo tormento. Ceneremo nel villaggio di Suvo; Nina, la cuoca, non si lamenta, ci dice dell’orto, delle mucche  e dei turisti che soggiornano da lei. Ma si stava meglio col comunismo, era impiegata nel kolkhoz, aveva un campo e tutti lavoravano. Mi sembra di ricordare certi nostri vecchi e il “si stava meglio quando si stava peggio”.

Passiamo accanto alla biblioteca, la scuola, il centro culturale e più distante il cimitero per cristiani e buddisti assieme. Ci passano accanto cavalli liberi, una coppia in un’antica moto con sidecar, poco distante la vallata è chiusa da colline color marrone.


Raggiungiamo una sorgente termale. Il luogo è selvaggio, frequentato da buriati, buddisti (in Siberia sono circa 300.000),  vicino un sito sacro con le invocazioni sciamaniche appese agli alberi. Alexander, che ci accompagna nella valle del Bargusin, versa attorno a sé un po’ di vodka per propiziarsi gli spiriti. Piantiamo le tende, ci  guardano con curiosità, un buriato di Cita chiede se può fotografarci, dell’Italia sanno solo di Celentano, Totò Cotugno e Fabio Capello, il nuovo allenatore della nazionale russa.

Una ragazzina ci parla in inglese, non ha mai sentito dell’Italia o dell’Europa, ma conosce la Cina, non è così distante, e vorrebbe diventare interprete.

Chiedo ad Alexander se Mosca aiuta la Siberia; sono due mondi separati, a Mosca interessano solo i soldi. Gli chiedo del vino georgiano, dopo la guerra del 2008, voluta dai governi, non dal popolo, non si importa più. Brindiamo con vodka alla natuta (na prirodu).


Entriamo con Maxim, una guida di ventun anni, silenzioso, innamorato del suo lavoro, nel Parco Nazionale del Baikal (Sabaikalski Nazionalni Park).  Saliamo un sentiero attrezzato, percorriamo un tratto di taiga e giungiamo a un porticciolo di pescatori. Ci attende una massiccia imbarcazione in ferro giunta con la prua fin sulla spiaggia, che ci porta a un’isola deserta, per un’altro trekking in salita con magnifica vista sul lago.


Prima di ripartire ci fermiamo a nuotare nel lago vicino a un sito sciamanico. Sulla via del ritorno facciamo salire sul pulmino una giovane coppia di Praga. Viaggeranno per tuttal’Asia per un anno e si portano zaini di trentacinque chili. Parliamo della  Praga di quaran’anni fa, era tutta grigia mi dicono, sì ma dischi e libri non costavano, lo yogurt non era Danone e a “U Fleku”  trovavi i praghesi.

In attesa del traghetto per Ust Bargusin un enorme buriato mi saluta, parliamo lingue diverse , ma ci intendiamo lo stesso, nasce un’amicizia immediata e spontanea, ci abbracciamo. Può succedere solo in Buriazia!

(continua)

Giuliano Prandin

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