Conoscevamo i luoghi, non le persone. Andavamo in Istria e cercavamo i campeggi. Dei nostri connazionali non sapevamo. Quando proposi quasi vent`anni fa ai miei studenti del Liceo “Galilei” di Trieste di andare a Pirano e Fiume, piuttosto che a Firenze o Roma, l’iniziativa mi parve piu` subita che condivisa. Visitammo le scuole degli Italiani, il Ginnasio “Sema” di Pirano e la Scuola Media Superiore Italiana di Fiume. L’anno dopo si unirono il “Prešeren”, il Liceo Sloveno di Trieste, il Ginnasio Sloveno di Pirano e il Primo Ginnasio Croato di Fiume. Nasceva il progetto “La Diversita’ come Armonia e Sviluppo” che avrebbe coinvolto per oltre dieci anni studenti della maggioranza e della minoranza delle tre citta’ in ricerche e attivita’ attinenti la letteratura, i diritti umani, l’ambiente. Ricordo la commozione dell’incontro al teatro “Tartini” di Pirano quando venne suonato l’ “Inno alla Gioia” con insegnanti e studenti in piedi. E nacque l’amicizia con Daniela Paliaga, la preside del “Sema” e piu’ tardi anche con suo marito, Stefan Janković. Con Steva che ristrutturava una casa di famiglia a Sremski Karlovci, in Voivodina si apriva l’occasione di visitare una provincia poco nota della Serbia.
Sapevamo degli ottocentomila rifugiati per le guerre degli anni novanta, degli arresti di Mladic e Hadzic, dei bassi stipendi, della corruzione diffusa, delle famiglie borghesi che cercano di mandare i figli all’estero. Ma anche delle ricchezze architettoniche, di quanto offriva la natura, delle numerose attività culturali, della solidarietà fra le persone. E decidiamo di partire.
Prima di entrare in Voivodina ci fermiamo a Vukovar. Il primo ministro della Croazia, Jadranka Kosor, si è appena congratulata a Knin con i generali Ante Gotovina e Mladen Markac che il Tribunale penale internazionale ha giudicato colpevoli di crimini contro l’umanità. Visitiamo il Memoriale delle vittime dell’assedio del 1991. Camminiamo tra le lapidi nere dei combattenti, quelle bianche dei loro parenti, tra le croci bianche dei civili e le buche scoperte degli scomparsi.
Poco lontano, in riva al Danubio, la gente ascolta musica, prende il sole, gruppi di turisti salgono sui battelli per un’escursione.
In Voivodina, a Novi Sad, sulla sede del partito radicale, è stato steso un enorme striscione che chiede la libertà per Vojislav Šešelj accusato di crimini di guerra e crimini contro l’umanità dal Tribunale penale internazionale. Pochi si fermano; anche qui, e sarà così anche nelle altre città, la gente vuole ripredere a vivere. I boulevard e i ritrovi sono affollati, i concerti quasi ogni sera, in ripresa il turismo. E ci piace osservare i banchetti con tanti giovani allegri che invitano a una sessualità sicura e chiedono l’approvazione di una legge per la gioventù, a garanzia del lavoro, dell’accesso alla prima casa, che conceda aiuti statali.
A dieci chilometri dalla fortezza di Petrovaradin, una delle più importanti in Europa, vediamo i ponti sul Danubio di Novi Sad che la Nato aveva distrutto nel 1999. Più oltre la Nikolajevska crkva del 1730, la cattedrale cattolica, il municipio, la sinagoga, le eleganti zone pedonali Zmaj Jovina e Via Danubio, e la più bella e attrezzata spiaggia del Danubio, lo Strand.
A Sremski Karlovci la grande piazza della cittadina sorprende per gli importanti edifici del Ginnasio, Seminario, Municipio, duomo di San Nicola, chiesa cattolica della Santissima Trinità costruiti nel XVIII e XIX secolo. Poco distante la Cappella della Pace dove nel 1699 fu firmato tra la Santa Alleanza e l’Impero Ottomano il Trattato di Pace di Karlovci, che concludeva centocinquant’anni di dominazione turca e avrebbe consegnato la Voivodina all’Austria fino al 1918. Alla fine della cittadina una gigantografia ricorda il soggiorno del generale russo Vrangel’, dopo la sconfitta dell’esercito bianco nel 1920.
La casa di famiglia di Stefan (Šomin Lagum, la Cantina dei Šoma, Šoma è il soprannome della famiglia Janković) è nel centro della cittadina. Costruita circa duecento anni fa, è stata ristrutturata e adibita a pensione. E’ luogo di tranquillità e meditazione con un cortile interno fiorito e l’antica cantina scavata nella collina, ora trasformata in museo, dove veniva prodotto il vino e la rakia. La calda ospitalità, l’ampia cultura dei proprietari ne fanno un posto speciale.
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A sud-ovest le boscose colline della Fruška Gora sono disseminate da numerosi monasteri. Abitati da severi preti e monache ortodossi, sono una delle attrattive più importanti della regione. Visitiamo quelli di Hopovo, Krusedol e Beočin del XVI secolo.
A pochi chilometri dal confine ungherese, nella pianura pannonica, un’altra sorpresa: la seconda città della provincia, Subotica con i magnifici edifici in stile liberty del municipio, della sinagoga e l’esuberante Palata Likovnov Susreta (1904) destinato a convegni e incontri artistici. Al ritorno ci fermiamo al lago Palic con le terme e le numerose occasioni di svago e poi a Kovačica, il paese famoso per i pittori naïf.
Dappertutto, sempre, persone gentili e che spesso parlano correttamente l’inglese. Un viaggio di turismo responsabile arricchito dalle colte spiegazioni di Daniela e Steva, ospiti e guide affettuosi.
Giuliano Prandini
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