Lontana dal ruolo istituzionale che mi ha tenuta in ostaggio per più di trentacinque anni, ho il privilegio di vivere un tempo fuori dagli impegni di lavoro. Ogni 15 giorni riscrivo la scaletta delle mie priorità: apro l’armadio e mi rendo conto di avere capi di abbigliamento che possono bastare per gli anni che restano; decido di ridurre il consumo di carne a una volta la settimana. In cima alle priorità però metto il tempo da dedicare alle persone che incontro e a quelle con cui sono in contatto: sono i beni relazionali che necessitano di ritmi duttili, da modulare caso per caso.
In questa specie di mio regno di Kirghisia (per citare Silvano Agosti) scorrono nella retina le immagini del Sahel percorso a gennaio 2009. Il “paese degli uomini integri” è il penultimo o il terzultimo nella classifica dei più poveri del mondo?
Già, la povertà dell’Africa affiora al primo impatto, ma poi per chi vuole cercare la sua ricchezza nascosta non è difficile scoprirla
Non c’è petrolio, nè coltan, nè diamanti o fosfati, oltre tutto si deve importare anche l’igname, il tubero alla base dell’alimentazione. Qui cresce solo miglio, sorgo, mais e poco altro; ed è il miglio, cotto in grandi marmitte, che viene dato ai bambini delle scuole, distribuito nei pentolini colorati portati da casa.
Poche le verdure, ma fioriscono come miracoli se l’acqua viene estratta da pompe e ben canalizzata va a drenare terreni semi desertici. Semplici interventi e la comunità rinasce, gli uomini non sono più costretti a emigrare e a scuola possono andare tutti i figli, non solo i maschi o quelli ritenuti idonei.
Gli scolari camminano a lungo, con un piccolo sacchetto dietro la schiena, chilometri di sahel o savana per arrivare in un’aula disadorna dove incontrano maestri autorevoli e fieri di crescere i futuri cittadini, i futuri dirigenti, forse presidenti.
Imparano il francese, e la storia che ora viene insegnata non è più quella che diceva loro: Mossi, Bobo, Dioula, Peul, Tuareg, che discendevano dai Galli.
Da quando l’Alto Volta è diventato il Burkina Faso di Thomas Sankara si è diffuso un sentimento di riscatto e di orgoglio che la sua morte cruenta non ha assopito, nonostante i 22 anni trascorsi
La sua immagine può apparire sul cellulare dell’autista del pullman, o sorvegliare scene domestiche di famiglie appartenenti al ceto medio, dal più alto ripiano del mobile della sala da pranzo.
Nelle capanne di fango dei villaggi, prive di arredi, si affaccendano donne che spezzano i cereali a mano, rullando pietra su pietra
La vita quotidiana è immersa in una natura sempre più ingrata: nel periodo più freddo dell’anno – tanto per confermare i mutamenti climatici in corso – si sono sfiorati i 40 gradi.
Stupiscono gli anziani, ma non disperano, non perdono il sorriso di fanciulli.
E ti accolgono con un rituale antico fatto di lunghi saluti, al ritmo tranquillo che dà valore all’incontro.
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